Francesco Paolo Russo

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per la mia candidatura alla regione lazio per il 2023 allego queste considerazioni

Breve storia del diritto alla salute in Italia dal dopoguerra        

 

Nell’immediato dopoguerra la Costituzione ha sancito nell’art. 32 :” il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività “.

Si parla di diritto, anche se dell’individuo ed anche se l’interesse della collettività appare in ombra rispetto all’individuo stesso.   

L’assistenza sanitaria ed ospedaliera è attribuita al potere legislativo ed amministrativo delle Regioni. E’ un potere concorrente, nel senso che le Regioni operano nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato.

In assenza delle Regioni la Costituzione rimane a lungo inattuata; in attesa delle Regioni all’attività pubblica in campo sanitario viene preposto il Ministero della Sanità nel 1958.

Il sistema sanitario venne frazionato tra l’apparato statale in periferia composto dai vari uffici ( medici e veterinari provinciali, ufficiali sanitari, uffici di sanità marittima, aerea e di confine ), gli enti ospedalieri, le casse mutue pubbliche( Inam, Inps, Inail, Enpas, Enpdep, Inadel ) e private ( mutue aziendali e di categoria ), enti territoriali ( i comuni competenti per l’assistenza farmaceutica e veterinaria; le province competenti sui laboratori di igiene profilassi, di prevenzione dell’inquinamento atmosferico e di tutela antimalarica e tubercolare ) ed altri enti nazionali assistenziali  fra i quali L’Onmi, istituto fascista in difesa della razza, per l’assistenza alla maternità ed infanzia. 

Il risultato fu che non tutti i cittadini ebbero diritto all’assistenza sanitaria e che, anche tra gli aventi diritto, essa fu ineguale e funzione del reddito: un lavoratore dell’industria ebbe un trattamento sanitario diverso da un lavoratore agricolo, uno dell’Inam da uno dell’Inadel, etc.

Alla vigilia della riforma sanitaria del 1978    esistevano più di 300 mutue sanitarie diverse per struttura, amministrazione, normativa e, soprattutto, per qualità ed entità delle prestazioni erogate ai propri iscritti.

Tutte le mutue erano basate su un principio assicurativo che comportava queste condizioni: primo, l’Ente assicuratore doveva accertare l’evento morboso e la

necessità della cura per l’iscritto, secondo, l’iscritto doveva essere in possesso delle clausole contrattuali che attestavano il suo diritto all’assistenza ( posizione di categoria o rapporto di lavoro, versamento dei contributi, diritto all’assistenza dei familiari grazie alla sussistenza di particolari situazioni economiche ).  

Il diritto inalienabile ed universale alla salute entra intanto a fare parte del bagaglio delle rivendicazioni del movimento popolare e giovanile del 1968, dell’autunno caldo del 1969 e per tutto il decennio successivo fino al grande movimento del 1977 ed alla riforma sanitaria del 1978.

Questa riforma decreterà la morte del sistema mutualistico da tempo in crisi, frazionato, corrotto, in bancarotta.

Le lotte per la salute negli anni ’60 e ’70  rivendicano per il diritto alla salute, come per il salario, uno stato di “ variabile indipendente “, ossia uno stato di variabile sganciata dalla produttività aziendale.

Ciò non voleva dire che la spesa sanitaria andasse effettuata a debito, ma che essa avrebbe dovuto essere calibrata in relazione ad altri diritti fondamentali del cittadino ed espressa come percentuale del Pil. Il costo del servizio sanitario potrà decrescere gradualmente nel tempo grazie al progresso tecnico-scientifico dell’intera società che può ridurre :

    i costi produttivi delle apparecchiature sanitarie,

    i costi di brevetto per l’uso dei risultati della ricerca che deve essere gradualmente portata nell’attività pubblica, 

   i costi organizzativi attraverso una moderna teoria dell’organizzazione del servizio già disponibile ed insegnata presso le università pubbliche che devono operare di concerto con le strutture del servizio sanitario pubblico nazionale senza utilizzare nessuna società privata di consulenza organizzativa,

    dall’imposizione, sancita nello Statuto dei Lavoratori diventato Legge all’epoca delle lotte negli anni ’60 e ’70,di forme di controllo da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti sulle condizioni ambientali nei luoghi di lavoro e sui tempi, orari, ritmi, turni che incidono sulla salute; ciò comporterà, ovviamente, l’insorgere di spese nel settore produttivo pubblico ( oggi enormemente ridotto rispetto al 1978 ) ed in quello privato.

Vengono in quelle lotte identificate nuove tipologie di nocività collegate all’organizzazione ed alienazione del lavoro che aggiungendosi a quelle della

 

nocività ambientale generica sanciscono anche per la legge l’esistenza di una causa della malattia che può essere rimossa a monte del processo produttivo impedendo l’insorgere stesso del processo morboso; queste nuove tipologie attengono all’organizzazione della produzione governata dal perseguimento del massimo profitto.

La coscienza del diritto alla salute nasce nel corso delle lotte a difesa delle esigenze degli handicappati, della sessualità e maternità cosciente, per la creazione di centri socio-sanitari e consultori autogestiti nei quartieri popolari.

Più in generale sul tema della salute si uniscono lavoratori, studenti e movimenti femminili che si battono per una sanità pubblica, gratuita, universale basata su strutture gestite dal basso, di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione ramificate su tutto il territorio nazionale.  

Il discriminatorio sistema mutualistico comincia a morire e nasce l’esigenza di un nuovo sistema sanitario basato sulla realizzazione prioritaria delle unità sanitarie locali(  come centri delle prestazioni sanitarie ), dei distretti sanitari di base(  come articolazione operativa territoriale delle Usl ), del controllo e della partecipazione dei lavoratori sulle/nelle strutture sanitarie, della limitazione e progressiva estinzione della medicina privata, della simbiosi tra servizi sanitari e servizi sociali, dell’eliminazione del divario che ancora separa, anche in campo socio-sanitario, il Nord dal Sud del Paese.

Lo scontro tra capitale e lavoro attorno ai problemi della salute si concentra, dalla parte del capitale, in una pressante azione di tenuta della medicina privata nel nuovo contesto generatosi dalle lotte, dalla parte dei lavoratori, in una critica approfondita alla medicina ed alle sue istituzioni quali l’ospedale, il manicomio, la facoltà stessa di medicina, concepite tutte sino ad allora come separate dal contesto sociale e produttivo nel quale operano.

La struttura sanitaria e quella che si occupa di assistenza e previdenza sociale sono cresciute fino ad allora in maniera separata, nel corso delle lotte nasce l’esigenza di coordinare ed integrare i due sistemi, riformandoli radicalmente entrambi per conseguire l’unico obiettivo del benessere sociale della popolazione.

Il movimento di lotta denuncia che la medicina istituzionale, operando solo sulla suddivisione del paziente, dal punto di vista biologico, in organi ed apparati,

ciascuno di pertinenza di uno specialista diverso e sballottando il malato anche per l’assistenza sociale e di prevenzione tra tecnici diversi, non tiene conto del significato della malattia in un contesto più ampio.

Il medico che si limita, per scelta o ignoranza, a curare la malattia senza cercare tra le cause concorrenti della malattia stessa quelle inerenti alla struttura sociale e produttiva  nella quale il paziente è inserito, è il medico ideale della classe dominante, un fido garante dell’ordine pubblico: egli sopprime l’aspetto di denuncia implicito nel processo morboso e, nel caso psicosomatico, spesso sopprime e non analizza l’aspetto di rifiuto del lavoratore-paziente di condizioni inaccettabili presenti nel processo produttivo nel quale opera.

In quegli anni il movimento di lotta accusa la medicina curante ufficiale di essere sempre e solo la medicina dei sintomi e di salvare la classe dominante da ogni responsabilità nella produzione della malattia in modo che questa appaia sempre ineluttabile.

Ma è proprio in cambio di questa accettazione della malattia come evento sempre ineluttabile che la classe dominante è talora disposta ad elargire i risultati del progresso tecnologico come un favore e non come un preciso dovere. L’aspetto caritativo è sempre stato un aspetto odioso del dominio. I malati devono introiettare un senso di colpa per il fatto di non essere produttivi. Questo aspetto della medicina istituzionale è legato indissolubilmente alla nascita della stessa istituzione come struttura caritativa.    

In definitiva il movimento di lotta sostiene a ragione che definire il problema sanitario come un problema eminentemente medico equivale a definire gli incidenti sul lavoro come un problema eminentemente ortopedico.

All’ epatite virale, al colera ed al tifo non si deve più rispondere solo con l’intervento tampone del medico né solo con la vaccinazione, ma con gli interventi preventivi sul suolo, sulle acque, sulle condizioni abitative, sulle disuguaglianze sociali    e territoriali in generale e nell’accesso alle prestazioni preventive e curative in particolare.

Fino alla fine degli anni ’70 il sistema dettava alla medicina ed ai medici curanti i compiti di riparare la forza-lavoro, rendere illeggibili i danni prodotti dal sistema sul paziente, mascherare le responsabilità, deviare le domande insoddisfatte dei beni sociali, fungere da tranquillanti sociali.

L’individuo, per il sistema, deve essere spinto solo a confortarsi dell’assunzione del farmaco e spinto ad interiorizzare i conflitti e le pressioni che lo circondano: è cosi che in lui nasce la malattia somatica e psichiatrica.

Nel momento in cui il farmaco diventa un oggetto miracoloso non è più soltanto un prodotto dell’industria farmaceutica, ma un risultato di tutto il sistema che affida a

questo oggetto anche il compito di velare le responsabilità nei processi morbosi delle classi dominanti. 

Per sovvertire questo stato di cose il movimento di lotta si batte affinché la popolazione partecipi alla gestione, alla programmazione ed al controllo dei servizi sanitari e sociali, evitando la delega in bianco ai tecnici, ai burocrati ed ai politicanti, per rifare completamente l’organizzazione socio-sanitaria finalizzandola alla soluzione dei bisogni reali della popolazione che dovranno obbligatoriamente passare anche attraverso una modifica  dei modelli produttivi imposti dal capitale nelle aziende.

Iniziano cosi molte esperienze pilota di autogestione dei servizi sanitari e sociali che sembrano preludere ad una più vasta deistituzionalizzazione della medicina.

E’ da questo contesto di aspre lotte che nascerà il compromesso della legge 833 del 1978 che istituirà il Servizio Sanitario Nazionale.    

 

    

 

 

 


 

 

Il compromesso della legge 833 del 1978 che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale    

 

Il DPR 616 del 1977 trasferisce alle Regioni, tra le altre, le funzioni relative all’assistenza sanitaria ed ospedaliera. Viene attuato il decentramento amministrativo delle funzioni inerenti la salute pubblica, nello stesso anno le mutue vengono sciolte definitivamente.

Per la prima volta la salute diviene ufficialmente uno “ stato di benessere “ e si parla di prevenzione, di igiene e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro.

La salute diviene formalmente ed in via di enunciazione un problema collettivo e non privato, un diritto di tutti e non una beneficenza fatta ai poveri, un problema di prevenzione più che di riparazione.

Attraverso l’utilizzo di questa riforma sanitaria si promuove l’intervento di bonifica e di controllo sui luoghi di lavoro.

Lo Statuto dei lavoratori, la legge 300/1970, aveva recepito in parte le richieste dei lavoratori, infatti essa afferma all’art. 9 “ i lavoratori, mediante loro rappresentanza, hanno il diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica “.

Come si vede con la legge 833 formalmente la sicurezza e la tutela della salute sul posto di lavoro acquista un’importanza primaria e viene estesa a tutti i settori di attività e non limitata alla sola fabbrica. 

Non risultano quasi per niente protetti da questa legge i lavoratori dell’agricoltura, dell’edilizia e delle aziende sotto i 15 dipendenti, alle quali non si applica lo Statuto dei lavoratori.

Praticamente inesistenti sono gli strumenti di controllo e di tutela del lavoro a domicilio e del lavoro nero che costituiscono la principale forma di reclutamento e sfruttamento della manodopera nelle regioni meridionali.

Questa riforma della sanità è stata da subito resa parziale e non sempre efficace a causa dell’inefficienza, incapacità e corruzione dilagante dei comitati di gestione

 

delle Usl e dallo svilupparsi nel tempo di una linea sindacale concertativa e sempre meno conflittuale da parte dei sindacati confederali.  

La situazione è talmente evidente che una commissione parlamentare di indagine sul lavoro in Italia già nel 1988 sarà costretta a rilevare :

  l’evasione dilagante degli obblighi di legge in materia di sicurezza del lavoro specie nel settore delle costruzioni e nel vastissimo mondo del lavoro in appalto e subappalto, in particolare al Sud, e delle microimprese;

  gli elevatissimi tassi di infortuni, anche gravi e mortali, specie in alcuni comparti: edilizia, agricoltura e cantieristica;

  l’insufficienza strutturale delle attività di vigilanza , dovuta per lo più al sottodimensionamento degli organici ( al centro-nord ) o all’assenza quasi totale       ( sud ed isole ) della rete dei servizi pubblici di prevenzione;

  il mancato addestramento e formazione della manodopera giovanile avviata al lavoro con le nuove regole di lavoro a termine o precario;

  la scarsa presenza ed incisività dell’azione sindacale;

  lo scarso controllo e potere contrattuale del sindacato sulle condizioni di lavoro, anche in settori a grande tradizione sindacale, in presenza di situazioni di crisi aziendale e di comparto.   

Il diritto all’aborto si affianca a quello per i consultori autogestiti, insieme a ciò si pretende che i medici non obiettori affianchino quelli obiettori in numero sufficiente a non vanificare la legge.

Nel 1975 con la legge 698/1975 viene decretato lo scioglimento dell’Omni, istituzione clerico-fascista, già sommersa dagli scandali per le condizioni indegne di reclusione dei minori ricoverati nei suoi istituti. Nello stesso anno la legge 405 istituiva i nuovi consultori familiari affidandone la gestione ai comuni. Arriva poi la legge 833 del ’78 che affida alle Usl anche l’assistenza sanitaria materno infantile, l’assistenza pediatrica e la tutela del diritto alla procreazione cosciente e responsabile.

Nello stesso anno arriva la legge 194 sull’aborto

La  legge 833 del ’78 se da una parte recepisce molte richieste del movimento di lotta precedente, dall’altra subisce i gravi condizionamenti di una legge precedente, ossia la n. 132 del 1968 che detta le norme generali dell’ordinamento ospedaliero e del

 

personale sanitario, nonché gli attacchi continui delle classi dominanti che tendono a svilirla e privarla dei contenuti più avanzati.

Infatti la legge 132 consente la colonizzazione del territorio da parte delle strutture ospedaliere che impongono per via quasi naturale il modello di salute esclusivamente tecnicistico. Inoltre le strutture ospedaliere insieme ai policlinici oltre ad assorbire la maggior parte dei finanziamenti statali consolideranno il monopolio assoluto della formazione di tutto il personale sanitario riproducendo la medicina delle classi dominanti.

L’organizzazione gerarchica, feudale, superspecialistica, chiusa delle facoltà di medicina e degli ospedali non vengono scalfiti dalla riforma sanitaria che se ne occupa solo superficialmente.

Ma in tutta Italia, in particolar modo nel Meridione, il denaro è gestito in modo mafioso da commissari governativi e presidenti regionali con aziende amiche dei politici che controllano appalti e subappalti per alimentare uno sfacciato clientelismo elettorale ed intascare cospicue tangenti.

Negli ospedali la carenza di strutture e personale, la lottizzazione, il clientelismo e la corruzione provocano liste di attesa infinite per i ricoveri e le visite ambulatoriali.

L’introduzione di ticket sempre più costosi sui medicinali e le analisi colpiscono i bilanci dei lavoratori, la gratuità dell’assistenza comincia a venire meno.

Quando nella seconda metà degli anni ’80 il movimento di lotta rifluisce si scatena l’attacco mediatico contro i lavoratori teso a far accettare sacrifici e tagli alla spesa.

Con il 1989 cadono progressivamente tutti i compromessi capitale-lavoro nazionali e si scatena la competizione globale mondiale ed inizia lo smantellamento dello stato sociale a causa delle inefficienze che la stessa classe dominante ha provocato nella sanità pubblica per la gestione clientelare della maggior parte degli ospedali; l’obiettivo è quello di privatizzare tutto il possibile e comprimere nuovamente i diritti alla salute.

Si comincia a sentir parlare di debito pubblico elevato come alibi dei tagli alla spesa anche se più della metà del fondo sanitario nazionale è pagato con i contributi versati dai lavoratori.   

     

 

 

 

  

 

Lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale   

 

Per comprendere come hanno inizio le controriforme sanitarie agli inizi degli anni ’90 bisogna analizzare il contesto generale nel quale queste controriforme si inscrivono.

Il contesto è quello dell’Unione Europea che con i parametri di Maastricht impone ai Paesi aderenti la riduzione del debito pubblico quale condizione essenziale per partecipare all’unione economico-monetaria.

La prima legge delega 421 del 1992 introduce la privatizzazione della sanità ed il ritorno del diritto alla salute in uno stato di variabile dipendente dal budget risultante dopo i tagli.

Il decreto legislativo 502 del 1992 di De Lorenzo,  ministro del governo Amato, ed il decreto 517 del 1993, emesso sotto il governo Ciampi, smantellano il Servizio Sanitario Nazionale cosi come era emerso dalla legge 833 del 1978 che aveva dato inizio al cosiddetto “ stato sociale “.

Le principali cause dello smantellamento risiedono :

  nella regionalizzazione della sanità;

  nella aziendalizzazione delle Usl;

  nel finanziamento pubblico alle assicurazioni ed alle strutture private.

  

L’articolo 13 della legge delega 421 del 1992 per quanto riguarda l’autofinanziamento regionale della sanità cosi recita al comma 1: “ le Regioni fanno fronte con risorse proprie agli effetti finanziari conseguenti all’erogazione di livelli uniformi di assistenza, all’adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione del parametro capitarlo del finanziamento di cui all’art. 1 ( popolazione residente, mobilità sanitaria, consistenza e conservazione di impianti, strutture e dotazioni strumentali ) nonché agli eventuali disavanzi di gestione delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con conseguente esonero di interventi finanziari da parte dello Stato “; ed al comma 2 “ per provvedere agli oneri di cui al comma precedente le Regioni hanno facoltà, di

  

provvedere alla riduzione dei limiti massimi di spesa per gli esenti previsti dai livelli di assistenza, l’aumento della quota fissa sulle singole prestazioni farmaceutiche e sulle ricette relative a prestazioni sanitarie, fatto salvo l’esonero totale per i farmaci salva-vita, nonché variazioni in aumento dei contributi e dei tributi regionali …. “.  

 

La prima picconata al Servizio Sanitario Nazionale : il perno del sistema sanitario diventa la regione.

    

Il Comune perde parte delle funzioni di sovrintendenza sulle Usl in campo assistenziale e lo Stato non ha più la possibilità di programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle prestazioni sanitarie alle popolazioni ed, in generale, delle loro condizioni sanitarie; non è più garantita l’uniformità di assistenza sul territorio nazionale.

Il Piano sanitario nazionale viene sostituito da tanti Piani regionali sanitari.

Le conseguenze sono la riduzione del budget a disposizione del fondo sanitario nazionale da erogare alle regioni e la possibilità, di fatto la necessità, delle regioni di sopperire autonomamente alla carenza di risorse finanziarie attraverso il cosiddetto federalismo fiscale, ossia possibilità di riscuotere tasse e tributi in autonomia.   

 

La seconda picconata al Servizio Sanitario Nazionale : la trasformazione delle Unità sanitarie locali in Aziende sanitarie locali.

 

Esse pur conservando personalità giuridica pubblica e pur rimanendo strumenti della Regione acquisiscono “ autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica “.

Oltre ai fondi regionali le Asl possono accedere ai finanziamenti privati.

Si instaura un sistema misto pubblico-privato, si coinvolgono le famiglie ed il volontariato.

Il Consiglio dei sanitari della Asl che è un organo di consulenza tecnica alla direzione aziendale è costituito per la maggioranza da medici ospedalieri, ciò conferma l’orientamento ospedaliero e curativo più che territoriale e preventivo della “ nuova “ sanità.

Le Regioni attribuiscono alle Asl ed Aziende ospedaliere l’80% dei costi complessivi delle prestazioni che le aziende sono in condizioni di erogare, rilevabile sulla base della contabilità.

Si colpisce tra l’altro il principio di inscindibilità tra tutela ambientale e salute delle popolazioni garantito da un servizio pubblico; questo principio era costato 50 anni di lotte dei lavoratori.

La privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha reintrodotto le mutue e le assicurazioni private abolite dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale.

Vediamo alcuni comma di leggi della controriforma che parlano di assistenza differenziata ( quella appunto abolita dalla riforma 833 del 1978 ) : “ …nel concorso alla spesa sostenuta dall’interessato per la fruizione della prestazione a pagamento, nell’affidamento a soggetti singoli o consortili, ivi comprese le mutue volontarie, della facoltà di negoziare, per conto della generalità degli aderenti o per soggetti appartenenti a categorie predeterminate, con gli erogatori delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, modalità e condizioni allo scopo di assicurare qualità e costi ottimali. L’adesione dell’assistito comporta la rinuncia da parte dell’interessato alla fruizione delle corrispondenti prestazioni in forma diretta ed ordinaria per il periodo di sperimentazione. …A tale fine la Regione può dare vita a società miste a capitale pubblico e privato “.

Questi provvedimenti comportano una drastica riduzione del fondo sanitario regionale ed una inevitabile deriva del pubblico verso il privato con le conseguenze che ora vediamo.

Avanza ormai nella pratica l’odioso principio di “ sussidiarietà ”, ossia lo Stato interviene solo dove il mercato fallisce o non trova abbastanza profitto.

Tra contributi di malattia, ticket e spese dirette circa i 2/3 della spesa sanitaria è coperta direttamente dai cittadini e bisogna sapere che 1/3 della spesa del Servizio sanitario nazionale va ai privati convenzionati.

La strategia adoperata per massimizzare i ricavi dai direttori generali e dai primari dei reparti ospedalieri è quella da un lato di ridurre i posti letto e le giornate di degenza e dall’altro di aumentare indiscriminatamente i ricoveri che, secondo lo schema dei direttori generali,  permettono maggiori finanziamenti regionali.

 

 

  

Il risultato è l’aumento dei ricoveri di 2-3 giorni ( +23% nelle aziende pubbliche, +170% negli Irccs privati, +53% nelle case di cura private ). Le dimissioni veloci comportano l’esplosione delle infezioni post-chirurgiche a domicilio.

Negli anni ’90 già inizia un decremento del 10% dei medici di base, questi rappresentano insieme ai servizi di guardia medica un presidio nel settore importante delle cure primarie.

 

La controriforma Bindi del 1999.

 

Il 18 giugno 1999 sotto il governo D’Alema viene definitivamente approvato il Dlg sulle norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale,

Vengono consolidati i provvedimenti di regionalizzazione della sanità, di aziendalizzazione delle Asl e degli ospedali, dell’apertura ai privati, della possibilità dei medici di svolgere la libera professione, del pagamento di parte delle prestazioni tramite i ticket e di restaurazione del sistema mutualistico.

L’obiettivo è quello di razionalizzare, riorganizzare e rafforzare il modello di stampo liberista della controriforma Amato-Ciampi.

Il Piano sanitario regionale definisce le “ forme di partecipazione delle autonomie locali, delle strutture private accreditate e delle formazioni sociali private non a scopo di lucro ( … ) oltrechè dei sindacati delle strutture pubbliche e private. … Le istituzioni e gli organismi non lucrativi concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona “.

 

Il sistema sanitario pubblico si trasforma quindi in un sistema sanitario misto pubblico-privato-no-profit per favorire  il disimpegno e risparmio dello Stato  e della Regione nel settore sociale e sanitario a favore dei privati e per cancellare il diritto inalienabile degli emarginati ( anziani, disabili, handicappati, tossicodipendenti, immigrati, etc. ) all’assistenza sociale e sanitaria restaurando in forma nuova  ciò che esisteva fino alla riforma del ’78 basato sulla beneficenza o elemosina ai poveri ed agli emarginati : ciò si scorge dietro i termini accattivanti di “ solidarietà alla persona “ e di “ progetti persona “ nel quale il volontariato ed in no-profit saranno prevalentemente coinvolti.   

 

I privati entrano a far parte dell’albo dei fornitori di prestazioni sanitarie a cui Asl e pazienti potranno rivolgersi.

Le Regioni garantiscono i livelli essenziali dell’assistenza sanitaria, nonché i livelli integrativi delle mutue. “ In presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno si procede alla revoca dell’accreditamento della capacità produttiva in eccesso “. Ossia le prestazioni non ritenute essenziali saranno pagate per intero dai cittadini.

Il sistema sanitario è stato liberalizzato e sdoganata la competizione economica selvaggia tra le aziende pubbliche e quelle private accreditate per conto del Servizio sanitario nazionale, la prestazione sanitaria è diventata una merce da vendere per aumentare i profitti o fare quadrare i bilanci aziendali, la sovrastruttura scientifica dalle analisi statistiche a quelle epidemiologiche saranno progressivamente piegate alle nuove esigenze del profitto e del risparmio sulle spalle dei lavoratori che si ammalano.

Inoltre ogni Regione avrà una legge regionale diversa consolidando definitivamente la rottura dell’unità del Paese.

Approfondiamo ora i meccanismi di finanziamento delle strutture pubbliche ed accreditate.

Un decreto ministeriale stabilisce che lo Stato classifichi le prestazioni ed i servizi da pagare, stabilisca le tariffe massime da pagare alle strutture accreditate sulla base dei costi standard di produzione e sulla base di un campione rappresentativo di strutture private.

Questo significa che anche il finanziamento delle strutture pubbliche diminuirà in relazione al fatto che dovrà competere con le strutture private che utilizzano lavoro flessibile ( o parzialmente in nero ), strumenti non ottimali. La stessa forza-lavoro è un fattore produttivo acquistato a minor costo dalle strutture private e dunque tutto ciò sta già portando a strutture pubbliche degradate a vari livelli, aumenta il profitto privato, aumenta il risparmio pubblico, ma diminuisce notevolmente la qualità dell’assistenza sanitaria.

La legge Bindi infine ha anche previsto forme di assistenza indiretta che non dovranno superare il 50% delle tariffe regionali, laddove la legge 833 art. 25 ultimo comma le prevedeva invece “ solo in forma straordinaria “.


            

La terza picconata al Servizio sanitario nazionale : il ritorno alle mutue.

 

La controriforma di stampo liberista della Bindi consiste nell’aprire a “ fondi integrativi finalizzati a potenziare l’erogazione di trattamenti e prestazioni eccedenti i livelli uniformi ed essenziali “. Le nuove mutue possono essere previste in accordi aziendali ed integrativi, a questi accordi possono partecipare associazioni no-profit, liberi professionisti  e strutture accreditate anche per offrire servizi alberghieri ed attività intramuraria. Le Regioni ed altri enti locali possono partecipare alla gestione delle forme integrative di assistenza.

Ecco la controriforma !!

Si torna indietro rispetto alla legge 833 che all’art. 46 sanciva “ è vietato agli enti, alle imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di erogare prestazioni integrative dell’assistenza sanitaria prestata dal Servizio sanitario nazionale “.   

Nelle Asl la direzione del manager è autocratica, sono esclusi i lavoratori da qualsiasi gestione, tutti gli atti aziendali sono atti di diritto privato.

Società miste, strutture pubbliche aziendali autonome, strutture private accreditate, strutture private non accreditate concorreranno nel mercato sanitario, faranno alleanze, monopoli nei settori più redditizi.

Le Asl rassomiglieranno sempre di più alle agenzie inglesi di acquisto dei servizi sanitari dal mercato sanitario misto pubblico-privato.

L’istituzionalizzazione del volontariato rientra nel disegno governativo di smantellare totalmente lo Stato sociale.

I volontari, da persone che dovrebbero accusare il Palazzo per la sua inettitudine, diventano invece strumenti di copertura del sistema, controllati, sfruttati ed usati per frenare le contraddizioni sociali e la lotta per i servizi sociali pubblici.

Le associazioni dei medici che meglio si piegheranno agli obiettivi aziendali delle varie Asl accederanno più facilmente ad accordi e contratti con le Asl stesse; ciò creerà circuiti di medici di base aziendalizzati che non saranno espressione dei bisogni di prevenzione e cura dei pazienti, ma in concorrenza tra loro per

 

l’affidamento di incarichi contrattuali da parte delle Asl per consentire i risparmi esagerati che le Asl stesse si prefiggono.

Stabilito questo contesto le leggi dell’economia di mercato porteranno ad affidare a tali gruppi di medici un budget che li trasformerà in acquirenti, per conto dei propri pazienti, di prestazioni dei fornitori di cure in competizione tra loro, realizzando la separazione tra acquirenti e compratori di prestazioni sanitarie, già presente tristemente in Usa e Gran Bretagna.   

 

Le facoltà di medicina ormai fanno parte di aziende autonome che seguono la logica d’impresa basata sulle figure del direttore generale, amministrativo e sanitario, i professori universitari perdono il potere incontrastato che avevano sui propri feudi e si generano contraddizioni molto forti tra due sistemi entrambi marci : il vecchio baronato universitario ed il nuovo rampante aziendalismo.

I direttori generali delle aziende che incorporano le facoltà di medicina potranno finanziare altre aziende ospedaliero-universitarie gestite da università non statali attraverso l’utilizzo di strutture private accreditate.

In questo modo la precarietà dei ricercatori sta aumentando a dismisura.

  

     


 

 

Come frenare il degrado ulteriore nella prevenzione e cura delle malattie per la popolazione e come rilanciare un moderno sistema sanitario nazionale?

 

   Non è possibile isolare la distruzione del Servizio sanitario nazionale in atto dal più generale smantellamento dello Stato sociale e dal peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori della sanità come di tutti gli altri lavoratori.

 

   E’ certamente possibile eleggere nell’istituzione regionale consiglieri con l’obiettivo di denunciare alle varie procure della repubblica i responsabili di appalti, subappalti e commesse in campo sanitario pagati al triplo o al quadruplo del loro valore, consiglieri in grado di evitare in futuro questi furti di denaro pubblico.

Ma è illusorio credere di riuscire ad invertire lo smantellamento in atto dei servizi pubblici senza la nascita di un movimento popolare fortissimo nel Paese che risvegli le coscienze, ma soprattutto unifichi in un unico fronte di lotta tutti i lavoratori di ogni settore, gli studenti e tutti i giovani disoccupati.

 

   I consiglieri regionali eletti dovranno periodicamente informare i cittadini delle illegalità che si consumano quotidianamente nelle commesse regionali diventando ispettori della popolazione presso le aree dove maggiore è il degrado, dirigenti insieme agli eletti dalle assemblee dei pazienti, lavoratori e cittadini di un nuovo movimento che leghi le giuste richieste di assistenza gratuita per tutti ad una percentuale del Pil e non più ai budget assegnati dalla legge finanziaria. Ma tutto ciò deve avvenire nella coscienza della necessità di combattere in tutta Europa per una modifica dei trattati di fiscal compact, ed in attesa che ciò avvenga, nella coscienza di opporsi insieme ai cittadini ed ai lavoratori alle leggi eventualmente approvate dal Parlamento in disprezzo dei dettati costituzionali.

 

   La politica economica e sociale del governo Monti è stata  sovversiva contro la nostra Costituzione e pretende una risposta durissima, socialmente e politicamente conflittuale da parte dei partiti di sinistra e dei movimenti sociali.

 

  

 

Pretendere di modificare la situazione dei servizi sanitari odierni soltanto attraverso una “ buona amministrazione “ ingannerebbe i cittadini elettori che verrebbero spinti in futuro nelle braccia dei peggiori demagoghi.

 

L’approdo del forte movimento di lotta che si dovrà sviluppare dopo le prossime elezioni sulla spinta delle ulteriori gravi contraddizioni che esploderanno in Italia ed in Europa dovrà essere, in campo sanitario, la trasformazione delle strutture private accreditate in strutture pubbliche e gratuite, l’ingresso dello Stato nella produzione farmaceutica a costi fortemente competitivi con l’industria privata, l’assunzione di decine di migliaia di medici ed altri operatori sanitari che sono attualmente disoccupati, sottoccupati o precari, assunzione per un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche.

 

Fino a quando tutto ciò non avverrà va rigettata ogni riduzione di posti letto che anzi vanno aumentati attraverso la confisca immediata dei patrimoni immensi frutto del furto e della corruzione che migliaia di “ personaggi “ della Sanità hanno sottratto alle casse dello Stato; tale confisca sarà possibile dopo l’approvazione della proposta di legge da presentarsi nel nuovo Parlamento.

Ma l’approvazione di questa legge non potrà essere demandata solo agli equilibri parlamentari, tale approvazione dovrà avvenire attraverso l’esercizio della forza sindacale e dei movimenti dei lavoratori :

 

   è bene che i sindacati ed i movimenti dei lavoratori e di cittadinanza attiva imparino a guidare le lotte nel Paese per l’approvazione di leggi e non più contro l’approvazione di leggi;

 

   è cioè necessario che nuove leggi approvate diano non solo di nuovo spazio ad iniziative pubbliche sottoposte ad un controllo qualificato dal basso, attraverso delegati revocabili in qualsiasi momento da chi li ha eletti, ma è anche importante che le nuove leggi garantiscano ampio spazio al conflitto degli interessi nelle nuove strutture che non potranno d’un tratto diventare efficienti, ma solo dopo la graduale

 

esautorazione del personale legato alle vecchie classi imprenditoriali affaristiche ed alle vecchie categorie burocratiche impreparate ed inabili al cambiamento.

 

E’ solo nel contesto di lotta descritto e nel legame che le lotte nel Paese dovranno stabilire tra legislazione regionale, nazionale ed europea che è possibile sostenere per intanto alcuni provvedimenti immediati che spesso molti partiti a parole sostengono, ma si guardano bene dall’inserire in un contesto più ampio come noi proponiamo e che è l’unico in grado di contrastare un degrado fortemente consolidato.

 

Tali provvedimenti specifici devono essere :

 

   organizzazione degli acquisti con un’unica centrale operativa e non più attraverso le numerose Asl;

 

   un unico Cup a livello regionale che risponda alle esigenze della popolazione, nel senso che ogni reparto dovrà stabilire la produttività media dei medici e degli infermieri per assicurare un’ elevata qualità della prevenzione, diagnosi e cura della malati, tale produttività media andrà stabilita di concerto con i medici e gli altri operatori sanitari stessi; sulla base di questa produttività andrà stabilito il numero di medici necessari per esaurire le liste di attesa in tempi ragionevoli ( dove per ragionevoli si intende sufficienti ad arrivare in tempo ad analizzare il paziente in relazione alla gravità della patologia supposta che è dietro alla richiesta per il paziente stesso), ovviamente ci si può avvalere di sofisticati sistemi di analisi delle serie storiche delle liste di attesa suddivise per patologie, etc.; questi stessi medici nel numero stabilito potranno accedere all’attività intramoenia solo dopo l’esaurimento delle liste;   

 

   assunzione di tutti gli infermieri oggi utilizzati attraverso esternalizzazioni, dotando gli stessi di uno stipendio pieno e stabile e , nel contempo, come ormai dimostrato, diminuendo il costo sopportato dalla stessa sanità pubblica;

 

 

 

 

PER UNA SANITA’ PUBBLICA ED EFFICIENTE

 

 

 

CONTRO LA SOVVERSIONE ANTICOSTITUZIONALE DI QUEI PARTITI

 

CHE DICHIARANO INSOSTENIBILE L’ASSISTENZA SANITARIA

 

PUBBLICA PER TUTTI  

 

 

 

LOTTA SENZA QUARTIERE CONTRO L’APPARATO BUROCRATICO-

 

AMMINISTRATIVO IN CAMPO SANITARIO SPESSO COLLUSO CON IL

 

MALAFFARE

 

NON SI TRATTA DI SPRECO MA DI FURTO DEL DENARO PUBBLICO

 

 

 



Francesco Paolo Russo

 

Nato a Milano il 6 dicembre 1954.

 

Laureato in Ingegneria Elettronica, anno 1978.

Professione: Dal 1980 al 1994 lavora in grandi Aziende nazionali nel campo dell’informatica.Dal 1994 al 2005  è socio di una Società di informatica, dal 2005 al 2018  opera come Consulente informatico, dal 2018 è in pensione. .

Partecipa al movimento del ’68, dal 1969 al 1973 è iscritto al gruppo del Manifesto ed opera nel collettivo Eur-Tor dei Cenci collegato a decine di collettivi edili della provincia di Roma coordinati dall’on.Aldo Natoli. Uscito dal Manifesto, dal 1974 fino alla fine degli anni ’70 partecipa alle lotte del movimento della nuova sinistra. Dal 1992 fino al 2011 compie un lavoro teso all’analisi  degli importanti avvenimenti economico-politici italiani e mondiali.

Dal 2011 al 2013 è coordinatore del circolo Italia dei valori roma-sud con 30 iscritti.

Dal 2013 ad oggi diventa elettore del M5S e dal 2 Aprile 2021 è iscritto al M5S.

 

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